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IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

Tanto il Lavoratore dipendente, quanto il Datore di lavoro, posti di fronte al ricevimento di una lettera di licenziamento il primo, oppure all’esigenza di ridurre il personale il secondo, sono normalmente assaliti dai dubbi sul da farsi.

Il lavoratore dovrà decidere se impugnare il licenziamento e vorrà – come prima cosa – conoscere i termini per farlo e la relativa procedura.

Il datore di lavoro dovrà valutare – prima di intimare il licenziamento – se farlo e come farlo, senza incorrere nel rischio di dover fronteggiare costose conseguenze risarcitorie (o, talvolta, accettando e minimizzando tale rischio).

Entrambi si chiederanno quale sia la sanzione applicabile in caso di illegittimità del licenziamento (e, come vedremo, la risposta sarà tutt’altro che scontata…), anche al fine di valutare la reciproca convenienza nel ricercare una soluzione conciliativa.

Di seguito, pur nella complessità della materia, una sintesi degli aspetti pratici di maggiore utilità, per potersi orientare al riguardo.

1. Termini per l’impugnazione e accenno alla procedura

Il termine per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento individuale decorre dalla sua comunicazione scritta ed è di 60 giorni, a pena di decadenza: è sufficiente l’invio dell’impugnazione e non sono richieste formule particolari: basta contestare la legittimità del licenziamento.

Entro 15 gg. dal ricevimento dell’impugnazione, il datore di lavoro ha facoltà di revocare il licenziamento (senza che la revoca debba essere accettata dal dipendente per essere efficace), con conseguente ripristino del rapporto di lavoro (come se il licenziamento non fosse mai avvenuto). Dopo tale termine, occorre anche l’accettazione del dipendente (che potrebbe aver interesse ad agire per il risarcimento da licenziamento illegittimo, anziché accettare la revoca).

Infine, il ricorso giudiziale, a pena di decadenza, deve essere depositato entro 180 gg. dall’invio della lettera di impugnazione; il deposito avviene telematicamente, a cura del difensore del lavoratore.

In seguito, il Giudice fisserà la prima udienza e il difensore del lavoratore notificherà ricorso e decreto di fissazione di udienza al datore di lavoro.

2. Motivazioni del licenziamento

Il licenziamento individuale – normalmente – è intimato per:

  • Ragioni disciplinari, riferibili al comportamento del dipendente (a seconda della gravità, si distingue tra giustificato motivo soggettivo, con preavviso, o giusta causa, senza preavviso, ossia in tronco), quando è venuta meno la fiducia del datore di lavoro verso la correttezza dei futuri adempimenti da parte del lavoratore,in tal caso, occorre svolgere – prima del licenziamento – un procedimento disciplinare, che si avvia con la contestazione dei fatti addebitati al dipendente e la concessione di un termine (non inferiore a 5 gg., per legge) per le giustificazioni.
  • Oppure, ragioni di carattere economiche od organizzative, riferibili all’azienda (giustificato motivo oggettivo, sempre con preavviso). La giurisprudenza più recente non richiede più, come presupposto per la legittimità del licenziamento, che il datore di lavoro debba fronteggiare una situazione sfavorevole non contingente (ad es. un non occasionale calo di attività): è sufficiente la ricerca di un maggior profitto, attraverso un riassetto che sia – però – effettivo e non pretestuoso.

L’onere della prova delle ragioni del licenziamento, in giudizio, è posto a carico del datore di lavoro. Pertanto, nel caso in cui il Giudice, all’esito del processo e della relativa istruttoria (ad es. dopo aver sentito dei testimoni), sia in dubbio, deciderà la causa in favore del dipendente.

3. Sanzioni per il licenziamento illegittimo

La nuova disciplina (d.lgs. 23/2015, JOBS ACT) è riservata ai nuovi assunti dal 7/3/2015 in poi, o assunti prima se il datore di lavoro abbia però superato, solo dopo tale data, la soglia dei 15 dipendenti (5 in agricoltura) nella relativa unità produttiva (sede, filiale o stabilimento) o in più unità produttive nello stesso Comune o, infine, la soglia dei 60 dipendenti in totale. Agli altri continua ad applicarsi la disciplina precedente.

Il superamento o meno delle predette soglie (come criterio di “normale occupazione”, da intendersi quindi come forza lavoro media in un congruo periodo di tempo, ad es. 6 mesi o un termine più ampio qualora l’azienda sia caratterizzata da cicli stagionali di attività), pone una distinzione tra datori di lavoro di grandi e piccole dimensioni, alla quale consegue un diverso regime sanzionatorio. 

Sia per la vecchia, sia per la nuova normativa, tutti i licenziamenti affetti dai vizi più gravi, e dunque nulli (tra i quali il licenziamento orale, quello della lavoratrice madre o in concomitanza di matrimonio, quello discriminatorio o ritorsivo), sono puniti – a prescindere dalle dimensioni aziendali – con la reintegrazione del dipendente nel proprio posto di lavoro (oppure, a scelta del lavoratore, indennità alternativa alla reintegrazione, pari a 15 mensilità di retribuzione, esenti da contribuzione), oltre al  risarcimento pari alla retribuzione (e contribuzione) dovuta dalla data del licenziamento alla data della reintegrazione.

Invece, per il resto, occorre distinguere tra vecchia e nuova disciplina, nonché tra datori di lavoro di piccole e grandi dimensioni.

Vecchia disciplina

Per i datori di lavoro di grandi dimensioni, il risarcimento (ferma restando la cessazione del rapporto) andrà da 12 a 24 mensilità di retribuzione (in base alle dimensioni dell’impresa, alle condizioni e al comportamento delle parti, all’anzianità del dipendente).

Il Giudice disporrà però la reintegrazione nel posto di lavoro (o l’indennità alternativa pari a 15 mensilità, a scelta del dipendente), oltre al risarcimento (fino a un massimo di 12 mensilità), se il vizio è considerato particolarmente grave:

  • con riferimento ai licenziamenti intimati per ragioni disciplinari, se il Giudice riscontra l’insussistenza del fatto contestato ovvero che il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa (ad es. multa o sospensione), sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili
  • con riferimento ai licenziamenti per ragioni oggettive, se il Giudice riscontra la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Inoltre, se il licenziamento è giustificato ma è riscontrata una violazione formale, il risarcimento andrà da 6 a 12 mensilità.

Per i datori di lavoro di piccole dimensioni, ferma restando la cessazione del rapporto, il risarcimento va da 2,5 a 6 mensilità.

Nuova disciplina

Per i datori di lavoro di grandi dimensioni, ferma restando la cessazione del rapporto, il risarcimento andrà da 6 a 36 mensilità di retribuzione (in origine era previsto un automatismo, per cui il risarcimento era pari a 2 mensilità in più per ogni anno di anzianità maturato; tale meccanismo è stato però ritenuto incostituzionale, per cui il Giudice, entro il minimo e massimo, potrà modulare la sanzione, a sua discrezione, in base alla gravità del vizio, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità del dipendente, o altri elementi ai quali dovrà fare riferimento nella relativa motivazione).

Il Giudice disporrà, invece, la reintegrazione nel posto di lavoro (o l’indennità alternativa pari a 15 mensilità, a scelta del dipendente), oltre al risarcimento (fino a un massimo di 12 mensilità), se – nelle ipotesi di licenziamento disciplinare – sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento.

Il vizio formale è punito con un risarcimento da 2 a 12 mensilità.

Per i datori di lavoro di piccole dimensioni, il risarcimento andrà da 3 a 6 mensilità.