Il licenziamento del dirigente intimato per ragioni economico – organizzative è giustificato anche in assenza della ricerca, da parte del datore di lavoro, di posizioni alternative, che siano vacanti in azienda, in cui poter ricollocare il dirigente.
Due recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 1581 del 19/1/2023 e n. 2895 del 31/1/2023) hanno confermato che il datore di lavoro, nel licenziare un dirigente per riassetto aziendale, non deve rispettare l’obbligo di repêchage, facendo emergere interessanti spunti di riflessione.
Sommario
§ 1. Introduzione
§ 2. Il caso deciso dalla sentenza Cass. 2895 del 31/1/2023
§ 3. Il precedente (Cass. 23503/2017 e Corte d’Appello di Ancona 491/2014)
§ 4. Il caso deciso dalla sentenza Cass. n. 1581 del 19/01/2023
§ 5. Riflessioni conclusive: qual è il confine tra buona fede e correttezza e obbligo di repêchage nella soppressione della posizione dirigenziale
§ 1. Introduzione
Il licenziamento del dirigente, per legge, non richiede un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) come è invece richiesto per il licenziamento individuale degli altri dipendenti.
Tuttavia, la contrattazione collettiva riconosce al dirigente un risarcimento se il licenziamento non è giustificato, senza però estendere la nozione di giustificato motivo al licenziamento del dirigente, perché, altrimenti, si snaturerebbe il relativo rapporto di lavoro (Cass. 3000/1998): l’imprenditore deve poter scegliere – a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali – le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa (Cass. 13719/2006; Cass. 3628/2012).
La giustificatezza del licenziamento del dirigente viene meno solo se lo stesso è arbitrario (vale a dire senza alcun motivo) o pretestuoso, per liberarsi del dirigente senza valide ragioni, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, o delle procedure di legge o di contratto (Cass. 14604/2011).
In tale ottica, il datore di lavoro non è tenuto al rispetto del c.d. obbligo di repêchage nei confronti del dirigente, vale a dire alla ricerca di posizioni vacanti alternative (Cass. 3175/2013), mentre lo è, come noto, verso gli altri dipendenti.
§ 2. Il caso deciso dalla sentenza Cass. 2895 del 31/1/2023
Nel caso in esame, la motivazione del recesso di un dirigente, per riassetto organizzativo, includeva “l’impossibilità di individuare ulteriori ambiti lavorativi adeguati all’inquadramento del dirigente”. Tale ragione, a dire del ricorrente, era contraddetta dall’assunzione di un altro dirigente, cinque mesi dopo il licenziamento.
Poiché il datore di lavoro deve pur sempre dimostrare, anche con riferimento ai dirigenti, l’effettiva sussistenza delle ragioni addotte a sostegno del recesso, in questo caso – secondo il ricorrente – avrebbe dovuto comunque dimostrare che non vi fossero altre posizioni compatibili con la professionalità del dirigente e – dunque – il rispetto dell’obbligo di repêchage, che in tal caso non poteva essere escluso.
Sul punto, la Cassazione è stata invece perentoria, escludendo il repêchage ed osservando che la congruità del termine tra il licenziamento e la nuova assunzione era una questione di fatto, improponibile in Cassazione.
La decisione è incentrata sulla corretta valutazione di un precedente (Cass. 23503/2017), che -a dire del ricorrente- imponeva il rispetto, in un caso simile, dell’obbligo di repêchage.
§ 3. Il precedente (Cass. 23503/2017 e Corte d’Appello di Ancona 491/2014)
La Cassazione si era pronunciata, nel 2017, sul licenziamento di un dirigente addetto ad un ufficio territoriale (della funzione risorse umane di una grande impresa), che era stato soppresso.
La Corte d’Appello di Ancona accertava che la struttura periferica era stata effettivamente soppressa, ma, a fronte del licenziamento del ricorrente e di un altro collega, erano stati inseriti nella divisione risorse umane altri due dipendenti (con inquadramento contrattuale di quadri, ma con affidamento di incarico dirigenziale), contraddicendo l’impossibilità di assegnare al ricorrente analoghi incarichi dirigenziali, come era stato indicato espressamente nella motivazione del licenziamento.
Pertanto, per il giudice di merito, anche se “la prassi di affidare a soggetti con inquadramento contrattuale di quadro incarichi o mansioni dirigenziali come banco di prova per l’acquisizione della superiore qualifica è del tutto legittima”, il licenziamento era ingiustificato a causa“del mancato riscontro nella realtà aziendale di una situazione data, viceversa, per già realizzata nella opzione del licenziamento … ed in tal modo enunciata nella motivazione del licenziamento”.
La società si opponeva sostenendo che, in tal modo, le fosse sostanzialmente imposto l’obbligo di repêchage, che andava escluso, trattandosi di dirigenti.
Tuttavia, per la Cassazione, la decisione “non smentisce affatto il principio di diritto secondo cui per il licenziamento del dirigente d’azienda non opera l’obbligo di repechage, quanto piuttosto si iscrive nell’ambito del legittimo controllo giudiziale circa la corrispondenza tra la ragione formalmente enunciata a fondamento del recesso e quella reale riscontrata nel processo”.
§ 4. Il caso deciso dalla sentenza Cass. n. 1581 del 19/01/2023
Particolare anche il caso deciso da Cass. 1581/2023, di un dirigente che era da lungo tempo distaccato presso un’altra società del gruppo. Cessato il distacco, per soppressione della posizione occupata dal dirigente presso la distaccataria, la datrice di lavoro distaccante lo licenziava.
Il dirigente si opponeva al licenziamento, sostenendo che era necessario indagare se vi fossero altre posizioni disponibili presso la distaccante. La Cassazione, anche in questo caso, rigettava il ricorso evidenziando che “ai fini della giustificatezza del licenziamento del licenziamento del dirigente … non si accompagna un obbligo per il datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di altre posizioni utili presso cui ricollocarlo. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore”.
§ 5. Riflessioni conclusive: qual è il confine tra buona fede e correttezza e obbligo di repêchage nella soppressione della posizione dirigenziale
Il licenziamento del dirigente è giustificato se è motivato da una ragione veritiera e valida, ossia non arbitraria.
Se il riassetto aziendale è genuino, e ad esso consegue la effettiva soppressione della posizione del dirigente, non è onere del datore di lavoro ricercarne una alternativa per salvare il rapporto di lavoro.
Tuttavia, se la soppressione della posizione dirigenziale è fittizia, o non risulti adeguatamente collegata al dedotto riassetto aziendale, il licenziamento è ingiustificato e il dirigente ha diritto all’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva.
Occorrerà prestare, dunque, particolare attenzione non tanto all’esistenza – a valle – di altre posizioni vacanti, quanto – a monte – se sia reale (o fittizia) la soppressione della posizione che si asserisce sia venuta meno, e – in particolare – se vi siano sintomi del contrario, come il conferimento di analogo incarico dirigenziale ad altro dipendente, magari quadro, o l’avvenuta assunzione di personale dirigente in concomitanza col licenziamento.
Tale verifica dovrà essere ancora più scrupolosa nel caso di organizzazioni aziendali di grandi dimensioni, nelle quali la sussistenza di una pluralità di funzioni dirigenziali consente al datore di lavoro di muovere le pedine, sopprimendo e/o accorpando le funzioni dirigenziali, con maggiore disinvoltura.